A scendere in campo a difesa di Apple è il suo arci rivale Google. Il Ceo Tim Cook ha promesso che non inserirà mai backdoor nell’iPhone, neanche per decifrare l’iPhone del terrorista di San Bernardino. Ora al suo fianco si schiera il Ceo di Google, Sundar Pichai, che ha twittato dicendo di ritenere che sia “pericoloso compromettere la privacy degli utenti” con azioni di hacking ai danni dei dispositivi e dei dati dei clienti. Il tema è Privacy contro sicurezza nazionale: la Silicon Valley, scottata – anche nel portafoglio – dal caso NSA, ora difende Apple perché le richieste dell’Fbi costituirebbero un precedente pericoloso. A chiedere l’intervento di Google era stato anche Edward Snowden, il whistleblower dello scandalo NSA. Pichai ha però spiegato che le richieste dell’Fbi sono preoccupanti, ma che “le forze dell’ordine e le agenzie di intelligence devono affrontare importanti sfide nel proteggere la cittadinanza dal crimine e dal terrorismo”: le aziende devono “dare accesso alle forze dell’ordine ai dati sulla base di ordini legali validi”, ma non aiutare a forzare uno smartphone, aprendo le porte al cyber crimine e allo spionaggio internazionale. Il caso dell’iPhone è “il più importante caso tecnologico dell’ultimo decennio” – come ha sottolineato Snowden -, una questione che comunque richiede “un approfondito ed aperto dibattito”. Infine, è intervenuto John McAfee, offrendosi di decifrare personalmente e gratis il telefono del killer, in modo da evitare l’introduzioni di backdoor su iOS. Anche Twitter e Whatsapp si uniscono a Google nell’appoggio ad Apple. (da IT ESpresso del19 febbraio 2016)